Tutto accade in quel momento in cui il pennello imbevuto d’inchiostro, si avvicina alla grana della carta e di colpo vi deposita il segno. I gesti sono rapidi, le figure comunicano tra loro attraverso piccoli tratti appena accennati, lasciati da un ciuffo del pennello. A volte provo a tracciare segni senza volontà di raffigurare, e sul rettangolo bianco appare la scena da interpretare. Di solito in questi disegni scopro piccoli segni che in seguito rifarò più grandi. Immagino nella stanza del mio studio a Roma, una telecamera piazzata sul soffitto a riprendere in pianta i miei spostamenti, dal tavolo dei servizi, a quello dei gesti, alle soste a volte molto lunghe, tra una pennellata e l’altra.

All’inchiostro che da lucido diventa opaco, ai segni che lentamente si presentano. Il tavolo dei gesti è ricoperto di segni, che il più delle volte sono atterrati fuori dal rettangolo bianco, è come se avessi un infinito mondo a mia disposizione, essi si presentano ogni volta che mi accingo a dipingere, come possibili modelli. Ma il gesto è sempre diverso, e di colpo la figura, il paesaggio, la casa, si fermano sulla grana della carta, come un grumo di colore lanciato da una fionda. Le distanze tra un gesto e l’altro si modificano a secondo dei segni che appaiono, a volte è il pennello e che il gesto che rifiutano il prolungarsi dell’esercizio. Alla fine la contemplazione ricostruisce il percorso del racconto figurato. Mescolare i tipi di carta, è come presentare persone diverse tra loro, il pennello agisce sempre uguale, ma è la carta a reagire in maniera diversa, e quindi quello che di colpo succede su di un tipo di carta, su di un altro si fa più lento, ha bisogno di più gesti, più inchiostro e durante la contemplazione si rivelano tracce dei modi diversi di assorbimento della carta.

Sul tavolo dei gesti oltre all’inchiostro, sostano gli acrilici, l’olio, l’ecoline, le tempere, gli smalti, come attori assistono alle prove dei loro compagni, attenti alle cadute, all’improvviso bisogno di un gesto-cielo/terra, intervenendo e mescolandosi a volte in maniera miracolosa.

Poggiate alla parete come vecchie scenografie, ci sono le tele i cartoni, piccoli formati 25×30/30×40 che convivono prospetticamente con il resto degli oggetti. Il tavolo dei gesti ha una parte centrale adebita al lavoro, a destra e sinistra oltre ai materiali ci sono le pile di fogli di carta: sono le case dei segni, ogni piano una storia. Al mio tavolo dei gesti mi ci accosto in piedi, e in piedi inizio il mio esercizio gestuale. Veder nascere dell’alto dell’occhio quello che un attimo prima è atteso, e quello che può diventare inatteso, di troppo. Tutto questo riesco a controllarlo con il corpo, devo essere in piedi e sentire la mano leggera pronta a segnare, a condurre il pennello secondo ritmi sempre più diversi. Quasi sempre è una figura che stabilisco con il rettangolo bianco la sua posizione, il resto ruoterà intorno ad essa. Così per settimane deposito disegni su disegni godendomi, mentre la pila si allunga, il futuro momento di contemplazione.