Tutto era iniziato dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti: gli incontri alla libreria Ferro di Cavallo (con Schifano, Burri, Perilli, Sinisgalli), il breve soggiorno a Milano (nell’epoca d’oro dei “Quaderni Imago” di Provinciali, Tovaglia, Iliprandi e Lucarini) e, nel 1964 con il ritorno a Roma e l’apertura del suo studio.
L’elenco dei lavori realizzati è lungo, e passa dai libri per ragazzi (per l’Amz, Bompiani, Emme Edizioni) al coordinamento dell’immagine di iniziative cinematografiche (le giornate del Cinema Muto, Teleconfronto), dalle sigle per la Rai al lavoro di grafica politica alla stampa e propaganda della Federazione Italiana del PCI, al Manifesto, l’impostazione dell’ultima serie di Rinascita e il primo progetto editoriale di Liberazione. Ma al di là di un primo elenco (necessariamente sommario), ci sembrava importante accennare al suo successivo trasferirsi al di fuori di una dimensione, quella romana, che riteneva divenuta assai meno stimolante che in passato. La scelta di andare a vivere con Carla Conversi a Monticchiello è infatti coincisa con una fase assai importante della sua attività di quegli ultimi anni. Lavora per il Teatro Povero di cui crea nel 1987 l’immagine. Il suo rapporto di reciproco scambio tra pittura e segno grafico trova in questa nuova dimensione nuova forza ed espressività.
Gli anni più recenti lo hanno visto al centro di un’intensa rete di scambi, confronti, discussioni (con l’amico De Bartolomeis in particolare), interventi appassionati e carichi di volontà di incidere sulla realtà. L’approfondimento del suo discorso di ricerca (portato avanti in collaborazione con il figlio Brando) lo ha visto proseguire nel coordinamento dell’immagine di un’industria (la Val Cucine di Gabriele Centazzo), facendo confluire in quest’ultima esperienza tutta l’evoluzione della sua recente produzione orientata in senso formale. E’, probabilmente, nell’intuizione della serie di oli del 1980 “Accampamenti dei pittori” il senso del recupero del gesto, della materia, del senso del colore; la dimensione che meglio riassume il senso della sua attività, il suo sentirsi pittore anche nei confronti dei limiti degli orizzonti di molte delle figure attive nel campo della comunicazione visiva italiana. Era un ciclo che si chiudeva, un ritorno agli amori e alle passioni della sua gioventù. Un percorso personale, rigoroso e senza facili concessioni, ma sempre estremamente aperto al confronto, alla ricchezza della realtà in cui agiva. Un’indicazione, una maniera di lavorare e di vivere.