(Primi appunti dopo un incontro a Monticchiello 8 dicembre 1998)

La grafica può avere tutte le caratteristiche per affermarsi come arte nelle forme più diverse. Ma ci sono anche grafici che svolgono una attività indipendente di artisti, cioè dipingono, modellano, incidono usando tecniche miste, ecc. E’ il caso di Alfredo de Santis. D’altra parte se si considera come nascono i suoi prodotti grafici si evita l’equivoco di ritenere che egli decida di concedersi il piacere di passare alla pittura e ad altre forme espressive rientranti nell’arte, senza che ci sia una ragione intrinseca. Il fatto è che la matrice dell’attività di grafico di de Santis è già artistica in direzione non solo della pittura. Perciò non c’è traversamento, passaggio dalla grafica a forme artistiche indipendenti. Questo non toglie che nel lavoro strettamente grafico ci siano da risolvere nuovi problemi per corrispondere a una determinata committenza. Che cosa significa che de Santis nella sua attività di grafico si comporta da artista per così dire non grafico? La grafica è arte, ma qui voglio mettere in evidenza il particolare modo di praticarla di de Santis, che lo porta su strade di solito non percorse. Egli molte volte crea un oggetto manualmente in cui i simboli che lo colpiscono acquistano originalità stilistica. I prodotti possono essere sagome (figure o cose) ritagliate da fogli di piombo o formelle di creta o di piombo incise o assemblaggi di materiali vari che creano microscenografie: filo metallico, spago, pietra, stoffa, piombo e anche parti dipinte. Questa realizzazione artistica, che ha una sua autonomia, può essere utilizzata per corrispondere, con necessari mutamenti, a una particolare committenza. La trasposizione in un prodotto grafico avviene in vari modi, a seconda delle esigenze: un insegna, un manifesto, un logo. La copertina di un libro può utilizzare la fotografia di un oggetto artistico, per conservare il carattere e ottenere effetti non raggiungibili altrimenti. Se la soluzione  grafica ha bisogno di un oggetto fatto di una determinata materia, con una determinata fisionomia compositiva in cui entrano rapporti di vari elementi e di varie dimensioni, de Santis non può che seguire la via della costruzione manuale. Per questa ragione la matrice del pittore e del grafico è la stessa e la manualità coesiste con l’uso di tecnologie avanzate. Forse la poltrona di Mary, pennarello su carta del 1974 è opera che può essere considerata come inizio di una storia di simboli e di una caratterizzazione stilistica. Non meno interessante, dello stesso anno, è Poltrona con cuscino, progetto di un grande dipinto, di un murale. La forma progettuale-grafica, introduce alla soluzione pittorica. Pittore con cuscino del 1975 complice il riduzionismo del colore con l’associazione misteriosa dell’immagine. Il cuscino come la poltrona esce dalla sua determinatezza rappresentativa e si trasforma in simbolo in Cuscino paesaggio del 1980. Più specificatamente nel 1980/81 de Santis contraddice la sicurezza dell’abilità e del mestiere con Prove di pittura. Egli si concentra su quel qualcosa di misterioso e di rivelatore che è il colore sulla tela da cui si forma una immagine i cui significati dimostrino di andare al di là della rappresentazione.
E’ come se l’Artista volesse sperimentare con forme molto elementari una occupazione espressiva dello spazio, implicando sia la natura sia un oggetto casuale sia gli strumenti del dipingere e il pittore all’aperto nel gesto del dipingere. L’artista presenta, per così dire, un “programma”. Nella prima direzione: Paesaggio con albero, Il tetto rosso 1981; nella seconda direzione: Poltrona con albero 1981 e nella terza, come a sottolineare il carattere di esercizio, tre opere dal titolo Disegno dal vero 1981, in cui vengono disegnati gli strumenti del dipingere, e sempre del 1981, Pittore e paesaggio. E’ la ricerca di un atteggiamento verso la pittura, in una situazione in un certo verso scoraggiante se si considera, come de Santis stesso dice, che è difficile liberarsi dalla sensazione che nella pittura tutto sia stato fatto. Sente di dovere cominciare daccapo. Un racconto della pittura come metodo, mettendo in evidenza i suoi materiali e strumenti, la stesura del colore. Racconto non lineare proprio per cogliere aspetti essenziali della realtà. L’ambizione di portare sulla tela indizi di realtà si trova a fronteggiare una serie di ambiguità: tra natura e pittura, tra pittore e dipinto, tra dentro e fuori, tra lo spazio limitato dello studio e l’aperto senza limiti. Nel 1982 sembra che l’immagine abbia trovato una organizzazione evidente: la tela-paesaggio viene dominata dal gesto del pittore che però non lascia alcuna traccia rappresentativa sulla tela. Ma l‘assenza ha peso. D’altra parte per de Santis non ha senso mettere in mostra tutte le abilità del mestiere del pittore. Perciò evita le riprese che perfezionino particolari, il colore su colore che impreziosisca con variazioni e velature, non per abbandonarsi a una facilità esecutiva ma per dare prevalenza a una lunga incubazione di forme che sono simboli che ritornano. Ed è come se la pittura potesse continuare a vivere a definirsi ulteriormente senza alcun intervento dell’artista. Attesa che la pittura si compia. “Devo meravigliarmi anch’io di come affiorano forme e colori”. A volte la meraviglia sembra nascere da una situazione negativa, quando il pittore è presente anche se nel paesaggio ci sono soltanto grandi tele e gli strumenti del dipingere. Perchè è presente la pittura. Il titolo è fondamentale per concludere l’opera anche se molto spesso i titoli sono comuni, non hanno niente della metaironia di Duchamp o il particolare surrealismo di Klee. Nelle opere del 1982/84 la pennellata, indipendentemente dall’ampiezza nasce dal segno. de Santis non ha bisogno di nascondere il suo essere grafico quando dipinge. La morfologia e l’anatomia dei dipinti è comandata dal gesto, ma è gesto-segno. L’ambiguità è veramente tale se resta inspiegabile. L’ampia tela distesa nel paesaggio è telero che diventa tenda o addirittura accampamento. Per rafforzare la sua presenza nella natura o non piuttosto per non sfuggire, nella chiusura e nella protezione, al confronto inquietante con la natura? Un altro sviluppo dell’ambiguità. Il pittore non ambisce a privilegi è semplicemente uomo, diventa soggetto egli stesso modello, ma è sulla tela, assorbito da essa. E la poltrona che è ricorrente a partire dal 1974 con le soluzioni cromatiche e compositive più diverse? Oggetto-personaggio di cui non si comprende la presenza: in un interno che equivale all’esterno o accanto a un albero o, più tardi, complicato come altri oggetti, dal simbolo-fionda. Il minimalismo riguardo agli oggetti della pittura li fa rappresentare  solo da una straccio da i colori confusi e da un tubetto che non ha più colore da dare. Altre volte uno zoom porta in primo piano particolari che non aspettano di essere completati. L’avventura di una umile fionda, nata dalla costruzione materiale dell’artista, comincia nel 1987. Una sfida senza presunzione contro le terribili complicazioni tecnologiche. La fionda si espande ovunque: Personaggio e fionda, Poltrona con fionda, Tevere e fionda, tutte opere del 1987. La fionda una presenza personale sulla natura, sulle cose. Più tardi alto simbolo persistente, Il vaso di Pandora; anzi un insieme di simboli contrastanti che acquistano forma di mito.
Nel 1988/89 si intrecciano in una sorte di regressione (la serie di Primi passi) quasi un inizio di apprendimento e uno spiccato interesse per il contemporaneo che diventa racconto. L’interesse per il racconto produce mutamenti dei procedimenti pittorici e della stessa concezione della pittura. Il colore è più sommario e semplice. Emerge il Portatore, simbolo del muoversi, dell’andare in un posto, di comunicare. Ma che cosa e dove? La determinatezza sarebbe contro il tipico modo di essere delle espressioni di de Santis tanto ancorate alla realtà quanto aperte all’immaginario, all’onirico, a vicende inesplicabili eppure necessarie. Sogno in val d’Orcia, nel sogno che si libera, si spazia ma anche si provano angosce. Le opere si susseguono come sequenza di un film di animazione, costruiscono storyboard che raccolgono simboli fuori dal sogno. Il quotidiano si amplia a grandi temi e a grandi tragedie del nostro tempo.
Nel 1990 Segni sul muro, una risposta alla caduta del muro di Berlino. Un bisogno di raccontare che cerca di superare la maniera dei graffiti e di trovare segni in cui ci siano non solo la storia ma anche le emozioni umane. Così come in Intervento chirurgico 1991, l’orrenda operazione della guerra del Golfo. Il discostamento non irreversibile, dalla pittura è completo quando de Santis, per dare maggior peso alla materia “trovata” si serve di forme ritagliate di piombo. Del 1996 è Interno Italiano; del 1997 Portatore (simbolo che ritorna e si complica), Legami, T-shirt, Corteo. Negli stessi anni de Santis crea opere in cui al piombo si aggiungono ad altri materiali trovati (fili, pietre, stracci) con esiti estranei a un nuovo dadaismo. Ne risultano microscenografie che sono paesaggi, interni, il misterioso trovarsi insieme di simboli in un luogo indeterminato. Ma l’aspetto più interessante è che resta preminente l’aggancio con la realtà per quanto egli si tenga lontano dal realismo. Una realtà rispetto a cui l’artista prende posizione, che è una necessità per la stessa fisionomia stilistica delle sue opere.