(Per una grande mostra, poi sospesa, da tenersi a Torino nel 1998)

Il lavoro del grafico si è molto complicato al punto che si può dire che, come il regista, non fa tutto da solo. Ci pone di fronte a diverse competenze e ai rispettivi livelli (da quelli creativi a quelli tecnici) che devono riuscire a collaborare.

Non vorrei che si pensasse subito al computer, che pure è ormai essenziale. Non è possibile evitare il tema dei rapporti con le tecnologie che significa anche collaborazione di competenze diverse. Questo non è in contraddizione con il fatto che, almeno nel mio lavoro, una grande parte, l’esecuzione materiale, non è solo di tipo grafico. Spesso ho proprio bisogno di costruire oggetti, cosa che implica la conoscenza di materiali e di procedimenti. A volte parto dal segno che ottengo su un linoleum, ma anche che incido su lastre di piombo per farne formelle. La ricerca sulla qualità del segno ha un posto centrale nel mio lavoro. Ci sono tante differenze di spessore, di grana.  Il nero del disegno è diverso dal nero del toner e questo più che portare ad una sostituzione deve stimolare e profittare delle differenze.

Mi pare che proprio questo atteggiamento di ricerca che valorizza anche le tecniche tradizionali ti caratterizza in modo molto preciso.

Certo bisogna conoscere tutte le strategie per ottenere la diversità del segno, perché si imponga, nel variare, come un particolare stile. Dal segno grafico mi spingo verso il segno intaglio e verso il segno incisione. E sono affascinato dal design e dalla scenografia. Quanto a quest’ultima che cos’altro fa il grafico se non mettere in scena immagini da cui si ripromette il massimo potere comunicativo?

Non è una forzatura, parlando di stile, dire che siamo nel campo dell’arte, di un’arte allargata. Nel tuo caso hai a che fare con l’arte sia con l’attività di grafico sia in modo indipendente.

Il grafico, come ogni altro artista, quale sia il mezzo di cui si serve, sta nel contemporaneo, nel quotidiano. Ed è questo che gli assegna una committenza, ossia lo spinge a trovare determinate forme, a concentrare in una sola immagine o a metterle in sequenza. Quindi egli da vita a simboli con una particolare riconoscibilità. Non parlo in generale, mi riferisco a me. Al di là della pratica professionale sento il bisogno di visualizzare il mio mondo. Non c’è sdoppiamento: il mio mondo è la matrice da cui attingo sia per la committenza professionale sia per la mia “libera” attività di artista.

Lo so che si può dire dell’arte in generale, ma nel tuo lavoro vedo molto evidente la magia della trasformazione. Forse trasformazione è termine più forte, più pesante di creazione.

In realtà ho bisogno di partire da cose particolari, che a volte sembrano anche estranee rispetto a ciò a cui intendo arrivare. Ma poi mi accorgo che queste cose sono essenziali per dare carattere di necessità, e quindi di simbolo ben radicato, a quanto riesco a fare. Ho bisogno di usare le mani, di tagliare, di incidere, di assemblare. Non si tratta di operazioni puramente tecnico-manuali perché impegnano una concezione della vita.

E’ questo anche per me il punto che ha una posizione centrale. Il grafico, come l’artista, non può contare tutto sulla abilità. Deve avere cose da dire, essere pressato dal bisogno di dirle: avere un mondo che si proietta sulle cose, sugli eventi e su ogni tipo di immagine da trasformare.

Il grafico, come io intendo, partecipa alla vitalità di problemi, di contenuti, di soluzioni: si sente il fascino dei grandi miti (ad esempio il vaso di Pandora) e anche di cose comuni che nascondono simboli profondi (ad esempio, la fionda che sfida con la sua elementarità di giocattolo il prepotere). Il grafico non estetizza restando all’estremo delle cose. Se devo fare la copertina di un libro devo conoscerlo a fondo per dare il senso, con il mezzo grafico, di una mia interpretazione.

L’arte ha sempre adoperato le tecnologie a disposizione ma secondo suoi propositi, perciò senza che si verificasse un abbassamento della creatività, anzi questa aveva la possibilità di percorrere strade prima chiuse. Le tecnologie avanzate modificano sostanzialmente non solo il processo produttivo ma anche l’ideazione, i suoi sviluppi e la qualità del prodotto.

Il computer è una nuova potente opportunità e bisogna saperne profittare. Non c’è ragione, servendosi del computer di smaterializzare, per così dire, l’intero processo, trascurando del tutto, ad esempio, le caratteristiche del supporto cartaceo, e il contributo che possono dare all’efficacia di un’immagine. Come pure non c’è ragione per non rendere collaborativi i rapporti tra il grafico e la tipografia. Certo il computer è uno strumento con una potenza e una versatilità che mai sono stati così grandi. Ma il protagonista resta l’individuo (o l’equipe) che riconosce le nuove opportunità e le mette a profitto di un più alto grado di efficacia della ricerca.

Tu parli di autocommittenza, quella che ti porta a guardarti intorno, a tenere un diario di segni che cresce e si modifica insieme al lavoro.

Come di recente ho scritto, il diario di segni consiste nel “visualizzare attraverso il proprio mestiere, concetti, luoghi, legami, pezzi di storia, la quotidiana lettura del giornale, il parlare con la gente, il bisogno di rendere visibili alcuni oggetti”…

Artisti insospettabili come Kandinsky e Mondrian hanno un concetto positivo della funzione: essa è stimolante in luogo di produrre uno scadimento per ragioni utilitaristiche. Due grandi artisti dunque dalla parte dei grafici, senza contare i molti artisti che furono grafici rivoluzionari quali, ad esempio, Schlemmer, Moholy Nagy, Rodcenko, El Lisitskij

Il grafico è un esperto di comunicazione multimediale e ha il problema di contribuire a migliorare il più largamente possibile la comunicazione. Non si tratta di estetizzare la comunicazione ma di darle forme e strutture che le consentano di raggiungere i suoi scopi, eliminando gli elementi di disturbo. Vanno curate anche le scritte e le immagini che si riferiscono alle cose comuni della quotidianità. Perciò il primo problema è la comunicazione ordinaria nelle diverse situazioni per favorire comprensione e rapporti al posto di fraintendimenti e di estraneità.

In quanto dici vedo implicito un concetto che da sempre mi ha molto interessato, quello della bellezza diffusa. La bellezza non va riservata alle opere d’arte segregate nei musei ma deve essere mescolata alle cose comuni della vita come una bella giornata, i colori dei fiori, la gradevolezza e la comodità dell’arredo urbano…

Questo è uno degli obiettivi fondamentali ai quali cerco di essere fedele. E’ cosa che si comprende se si penetra il modo di lavorare del grafico. Se non ci formalizziamo sulle parole ma consideriamo le qualità tecniche e creative o, come tu dici, i processi di trasformazione delle esperienze, dando sempre grande importanza ad una buona conoscenza dei materiali e degli strumenti, la competenza si amplia senza sapere sin dove si spingerà. Si amplia assumendosi nuove responsabilità.