Eravamo agli inizi degli anni ottanta e ci davamo appuntamento a Roma per le prime riunioni di un progetto di Biennale della grafica italiana, e si discuteva molto di cinema e di politica. Le visite allo studio di Alfredo costituivano, per me, l’incontro con il suo mondo dei segni, il bianco e il nero assoluto: quello che sarebbe diventato la serie dei Giorni della fionda (1984). Pensavo fosse interessante riproporli, metterli in “circolazione” anche a Torino. Occasione che si sarebbe presentata con “Sisifo”, il periodico di idee, ricerche, programmi dell’Istituto Gramsci piemontese. Ne curavo l’impaginazione, proponendo l’incontro con le immagini di un autore che ritenevo particolarmente significativo. Nell’aprile del 1985 compare, così, la serie di interventi, realizzati da Alfredo, per la Federazione Italiana Circoli del Cinema sui film della Commedia all’italiana. Annotazioni visive per una serie di incontri, tavole rotonde e proiezioni: a partire da Vivere in pace di Luigi Zampa (1946) fino a Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli (1977). Un cinema che discutevamo, che amavamo e che delineava il percorso della società italiana di quel trentennio. Alfredo così descriveva il suo lavoro:” inizio a disegnare silhouette dell’Italia al centro di una striscia di pellicola, poi disegno fotogrammi, fabbriche, cineprese, uomini che agitano lunghe strisce di pellicola. Scelgo l’uomo e la cinepresa, l’uomo e l’Italia e il fotogramma ben teso tra due pali”. I segni neri, stampati su una carta color paglierino, sono forti e si affiancano quasi contrapponendosi alle colonne dei testi pubblicati nelle 52 pagine della rivista.
Nei successivi due anni, dopo gli appuntamenti della mostra di Cattolica e quello torinese di Segnopolis, nasceva nella periferia della città il Mese della grafica di Grugliasco. Alfredo collaborava, con Mario Cresci, alla presentazione della prima edizione con incontri dedicati a insegnanti e studenti della città. Il primo appuntamento espositivo era dedicato al Manifesto francese di pubblica utilità ed era stato possibile grazie ai rapporti stabiliti con un folto gruppo di grafici e alla collaborazione con il Syndicat National des Graphistes.
Nel frattempo, a cura di Giovanni Lussu, iniziava l’uscita di una collana della Nuova Italia Scientifica dedicata a un primo gruppo di grafici italiani: Mario Cresci, Alfredo de Santis, Roberto Pieracini, e chi scrive. Presentata a Roma, alla galleria Architettura e Arte Moderna nel 1989 e in Francia al primo Mois du graphisme de Echirolles nel 1990.
Ma è la seconda edizione del Mese della grafica, dedicata al Manifesto dell’Est.
Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria del 1989, che suscita l’attenzione di Alfredo. Mi propone di presentarla all’Istituto Europeo di Design di Roma, in cui in quel momento dirigeva con Carla Conversi il dipartimento di Grafica e Illustrazione e di realizzare una pubblicazione che documentasse i principali aspetti dell’iniziativa. L’impatto e l’interesse per le immagini che venivano presentate per la prima volta in Italia facevano riferimento a una storia, a una cultura (e a una censura) che caratterizzavano fortemente quel blocco che si era liberato dal controllo dell’URS e che guardava all’Occidente con grande aspettativa. Al centro dell’incontro l’attenzione ai linguaggi della grafica culturale e il loro intreccio con i forti cambiamenti sociali e politici in atto. Con discussioni che partivano dall’attualità per risalire fino a Walter Benjamin di “Strada a senso unico”. Emerge qui un altro aspetto non secondario della personalità dell’autore: una maniera di intendere il suo ruolo e la sua responsabilità a livello dell’insegnamento della grafica, intesa come continua attenzione e confronto con le tendenze non omologate nel campo della comunicazione visiva internazionale. Un filo che accomunava la sua attività alla necessità della documentazione e alla riflessione su quanto avveniva intorno a noi, in quegli anni. Un fare grafica, come nel caso dell’immagine e della comunicazione del Teatro Povero di Montichiello, che ho avuto occasione di presentare in una lezione all’University of Industrial Arts di Helsinki in occasione di un soggiorno di studio in Finlandia.
L’urgenza dell’essere presente, al di là della realizzazione pura e semplice dell’artefatto comunicativo, era, infine, alla base del contributo di Alfredo alla mostra “Sarajevo, urgente”, nel 1994. Il progetto, partito da Karel Misek a Praga, era stato ripreso in Francia (Centre Georges Pompidou, Mois du graphisme) e proponeva una serie di manifesti dedicati a Sarajevo, assediata dalle truppe serbe, come capitale culturale dell’Europa. La mostra era poi giunta in Italia (Mese della grafica, Galleria Aiap di Milano, Dopolavoro Ferroviario di Bologna) raccogliendo una serie di contributi italiani. Ma il rischio era quello di rivolgersi a un pubblico di addetti ai lavori, un contarsi tra quelli che erano già d’accordo nella denuncia dei fatti.
La proposta di Alfredo, oltre il manifesto, consisteva in un piccolo manuale di 24 pagine con esempi di quanto si poteva fare per comunicare in maniera diversa: con striscioni, adesivi, pieghevoli e locandine rivolti a pubblici di diverse situazioni in cui discutere e prendere iniziative. Segni semplici da riprodurre e moltiplicare nelle scuole, per le associazioni, nelle università. Una grafica effettivamente utile che cercasse di contribuire a mandare avanti le cose, cioè che servisse.
Nel volgere di quella decina d’anni, in Europa e in Italia, era successo di tutto, e non necessariamente di meglio. L’idea di Alfredo era quella di agire in uno spazio circoscritto ma con il massimo di intelligenza, di capacità di utilizzo dei suoi strumenti per essere presente e incidere nel suo e nel nostro tempo. Attivamente.