E’ facile e persino banale notare che molti elementi del modo di disegnare e di dipingere di Alfredo de Santis derivano, certo con mediazioni, dalla sua esperienza di grafico. Un artista in ogni caso è la sua esperienza ma anche la continuità dei tentativi di liberarsi di essa con un ritorno a zone che sembrano precedere le acquisizioni, le prove di sicura abilità. Riportarsi nell’incertezza, accettare attivamente la perdita di significati. Tutto ciò è necessario. Dunque un togliere un ridurre, un negare appoggi narrativi, concentrandosi invece su un oggetto, su un gesto paradossalmente fermo. E così lo spazio è puramente mentale: non c’è distinzione tra sfondo e primo piano, e per l’inversione non c’è bisogno di ricorrere a illusioni ottiche. E ancora: oggetti senza funzioni, elementi che si equivalgono al di là della loro riconoscibile differenza. E un ulteriore risultato di esistenza mentale, di astrazione. La pittura diventa protagonista come simbolo: è resa sia figurativamente (Il cavalletto, il quadro, la tela) sia nella struttura della pennellata a onde lievi e trasparenti. E la distinzione/funzione si ripropone nelle soluzioni cromatiche: equivalenza del colore indipendentemente dalle esigenze realistiche degli oggetti. Perchè la pittura, il pittore? Una sorta di riflessione trasposta sul proprio mestiere. Il professionista del disegnare e del dipingere, il manipolatore di immagini, la persona alle prese con rapporti e con significati, il grafico dunque, oggettiva qualche simbolo del suo lavoro o tutto se stesso. E dall’interno del suo lavoro quotidiano emerge ciò che vuole essere diverso. La pittura nella pittura come il teatro nel teatro: qualcosa e il suo doppio senza specularità ma con un rapporto di ambiguità e di finzione che poi è niente altro che il creare. La tela e il foglio non sono il supporto specifico del dipinto, sono lo spazio, il simbolo di tutto lo spazio, e perciò l’artista ne può occupare solo una parte in quanto non lo ha interamente a disposizione. Nello spazio, pochi particolari, a volte appena accennati. Anche l’uomo è un particolare: e questo non lo sminuisce perchè lo rapporta a una totalità indefinita. Uomo nel paesaggio come poltrona e cavalletto nel paesaggio. Relativismo: nessuna cosa è preponderante anche quando è da sola. L’accentuazione isola, e invece a de Santis interessano i rapporti, per costruire immagini e accendere emozioni insieme alla natura. L’artista non vuole appropriarsi della natura perchè ciò significherebbe farle violenza, opporsi ad essa con la perenne presunzione dell’antropologismo. Modelli. Quindi simboli? Inevitabilmente. Ma non simbolismo o pesantezza di metafore e di allegorie. Cose e accadimenti per caso, ma con la necessità di ciò che ricorre nell’esperienza, anche nei sogni. Alfredo de Santis figurativo. Ma in quale quadro di riferimento? Con quali apparentamenti? Prima il problema generale. E’ una conquista critica di larga acquisizione che l’astratto non si colloca irreversibilmente lungo la linea evolutiva del figurativo. D’altra parte non si può dire che ci sia uno spiccato senso della differenziazione qualitativa dei risultati così da distinguere ciò che è ricerca e ciò che è premeditazione. Certamente de Santis è tra i ricercatori con una riflessione inventiva sulla pittura come mezzo e come oggetto. La concettualità e non solo la visibilità della pittura ha sempre preso a soggetto se stessa: i simboli del dipingere, il tema, indefinitamente variato, del “pittore e la modella”, i tubetti che colano colore (Arman), Jim Dine con il suo quasi catalogo di colori, Roy Lichtenstein con i suoi Brushstrockes, isolamento di una larga e sinuosa pennellata gigante su una rada puntinatura di clichè. E’ nata l’esigenza dell’immagine come nuova ricerca che sa dei progressi della figurazione nella fotografia, nel cinema, nella tv e non come ritorno al passato, anche se in questo movimento si sono infiltrate escavazioni in superfice nel passato dell’arte, citazioni che ripresentano con ambiziose intenzioni l’omaggio a…., fino ad arrivare alla più recente e già stantia rivisitazione. Come attestato di pluralismo, si pensi anche alle possibilità offerte dell’elaborazione elettronica delle forme e del colore sia nelle comuni trasmissioni tv sia nella video-art. Se le forme sono ancora da esplorare e da ricombinare per imporre un nuovo stile è già maniera e facilitazione affidarsi al concettuale (che pretende di dire molto di più di quanto rappresenti) o a un’astrazione incapace di riprendere il suo confronto con la realtà. E forse che l’astrazione al suo nascere non trae forza dall’essere realistica, ad esempio, in Kandinskij? Senza fittizi accostamenti (altra cosa è la storicizzazione di un prodotto), senza indebite gerarchie, una valutazione dell’opera di de Santis ci costringe a rimettere in campo i problemi essenziali dell’arte, addirittura la giustificazione dell’arte che non è sicura una volta per tutte.